Proposta Commissione UE per la variante in itinere alla direttiva Europea sulle armi (477/91):
occupazione, PIL e diritti civili gravemente minacciati
Il clima di terrore scaturito dagli attentati terroristici di Parigi e dei recenti tragici eventi di cronaca, con la conseguente ondata emotiva che ne è scaturita, sembra aver innescato una deriva pericolosa all’interno della Commissione Europa guidata da Jean Claude Juncker.
Nel tentativo di ripristinare calma e autorità in un continente scosso dalla facilità con la quale i terroristi hanno agito, la Commissione ha presentato la proposta 2015/0269
http://ec.europa.eu/DocsRoom/documents/13965/attachments/1/translations/en/renditions/native
indicando come obiettivi la lotta al terrorismo, e la limitazione del numero di omicidi e suicidi commessi con le armi da fuoco in Europa (di fatto al 237° posto come causa di morte secondo le statistiche dell’Organizzazione Mondiale della Sanità).
Il 10 giugno il Consiglio Europeo - con una procedura che non ha precedenti - oscurando le riprese video dei lavori e allontanando i giornalisti presenti, ha deciso di proporre che tutti i paesi UE impongano ai propri cittadini la proibizione di molte tipologie di armi oggi utilizzate per lo svolgimento delle attività sportive, difesa e caccia:
http://data.consilium.europa.eu/doc/document/ST-9841-2016-INIT/en/pdf
La proposta dei burocrati europei - giustificata come una misura contro il terrorismo di matrice islamica - se definitivamente convertita in una Direttiva comunitaria vincolante sarà invece funzionale a privare delle armi per uso sportivo e difensivo i cittadini europei oggi legalmente autorizzati, senza minimamente incidere sul traffico illegale delle centinaia di migliaia di armi da guerra provenienti dagli arsenali militari del ex blocco sovietico e dai teatri di guerra del medio-oriente e del nord-Africa che circolano in Europa e che alimentano senza alcuna difficoltà i gruppi terroristici, così come si evince quotidianamente dalle cronache.
Secondo tale proposta le armi oggi legalmente detenute verrebbero in diversi casi sequestrate senza alcun indennizzo per cittadini, commercianti e fabbricanti, in aperto contrasto con le leggi dei paesi membri (e, per esempio, con i principi della nostra Costituzione). La proposta prevede persino la possibilità che siano private delle armi di servizio le guardie giurate e gli appartenenti alla riserva degli eserciti che la prevedono nel loro modello di difesa nazionale.
I vari Governi degli Stati membri dovrebbero anche farsi carico dei risarcimenti dei danni delle varie class-action che, inevitabilmente, saranno proposte dalle aziende del comparto e dai cittadini, privati di loro diritti acquisiti e di beni privati legalmente acquisiti.
La Commissione Europea ha voluto inasprire persino le norme riguardanti le riproduzioni di armi monocolpo ad avancarica, oggetti che riproducono armi in uso ai tempi della battaglia di Waterloo usati, appunto, per rievocazioni e per le gare di tiro storico … configurando un danno intenzionale ad un settore della produzione che in alcun modo può essere ragionevolmente considerato come problematico ai fini della prevenzione del terrorismo!
I veri effetti dell’eventuale conversione delle proposta del Consiglio Europeo in una Direttiva comunitaria si concretizzerebbero quindi in una profonda destabilizzazione della sicurezza dei cittadini e in una sostanziale compromissione della sicurezza sociale generale: la difesa abitativa e la legittima difesa diventerebbe diritti di difficilissima attuazione. La gran parte delle discipline sportive del tiro verrebbe cancellata/compromessa.
La proposta dovrà essere negoziata con il Parlamento e con la Commissione UE ma se venisse convertita in una Direttiva nella sua attuale formulazione metterebbe immediatamente a rischio oltre 600.000 posti di lavoro ed una quota significativa del PIL europeo.
L’Italia, quale primo paese produttore in Europa di armi civili, sportive e da caccia, sarebbe nuovamente colpita dalla sempre meno comprensibile politica della Commissione UE, che in tal modo danneggerebbe duramente un comparto economico che fornisce lavoro a oltre 90.000 addetti e che genera oltre lo 0,6 % del PIL italiano, compromettendone le sorti.
Sono inoltre ancora di stimare gli effetti sui circa 50.000 addetti del settore della sicurezza privata che oggi contribuiscono al presidio di banche, tribunali, aeroporti, porti, ferrovie.
Sembra opportuno ricordare, inoltre, il recentissimo studio dell’Università di Coventry, richiesto dalla Commissione UE e costato 600,000 euro ai contribuenti: gli accademici curatori dell’indagine - concordando con le evidenze delle precedenti ricerche già commissionate dalla UE - hanno riconosciuto che: a) le armi legali non sono correlabili con l’aumento della criminalità e dei fenomeni di terrorismo; b) la legislazione sulle armi da fuoco degli Stati UE si concentra sul controllo delle armi legalmente detenute, trascurando le opportune misure per limitare il mercato clandestino e la circolazione delle armi da guerra, che sono le armi effettivamente utilizzate dalla criminalità e dai terroristi.
Nell’esprimere il nostro più sentito cordoglio e la nostra più profonda solidarietà alle famiglie delle vittime del terrorismo internazionale - al quale tutti siamo esposti - vogliamo ricordare le profonde differenze che si pongono tra il modello sociale e legislativo italiano e quello dei paesi in cui tali eventi si sono sfortunatamente verificati: il sistema di controllo vigente in Italia sulla circolazione delle armi civili - rigidamente vincolate nelle modalità di acquisizione e sistematicamente tracciate - e le politiche di welfare e di integrazione tipiche della nostra società civile ci hanno sino ad oggi efficacemente preservato dai tragici eventi prodottisi in paesi in cui le tensioni sociali e la legislazione in materia di armi sono ben diverse.
Il brutale assassinio della deputata Jo Cox è la tragica conferma che una legislazione basata sul divieto della detenzione legale di armi civili ai cittadini è funzionale solo ad accrescere l’impunità e l’aggressività della criminalità di ogni livello: l’Inghilterra è infatti il primo paese nella UE per crimini violenti (omicidi, aggressioni, rapine, stupri) secondo le statistiche Eurostat, con una media annuale di oltre 900.000 delitti.
Chiediamo pertanto che le proposte degli altri Paesi membri si confrontino con il sistema legislativo italiano, strutturato e perfezionato in molti anni di esperienza, che, seppur forse perfettibile, è sicuramente un modello tra più avanzati per la gestione della pubblica sicurezza, in grado di contemperare con grande efficacia le inderogabili esigenze di tutela dell’ordine pubblico con la salvaguardia dei diritti dei cittadini e dell’impresa privata.
Auspichiamo quindi che nel prosieguo delle negoziazioni europee dei prossimi mesi, il nostro Paese, attraverso i suoi rappresentanti, cominci ad impostare una vera politica estera, rivendicando un ruolo di guida e coordinamento per l’armonizzazione della normativa comunitaria in materia di armi, preservando e valorizzando il proprio primato di leader della produzione europea delle armi sportive e di gestione della sicurezza sociale.
Comunicato a firma congiunta delle seguenti associazioni:
CONARMI, ASSOARMIERI, FITDS, CD-477/FirearmsUnited
Il Presidente,
Pierangelo Pedersoli